allegroconbiro
tramonto

Lockdown

È l’ora del crepuscolo quella più difficile da sopportare, quando i fantasmi vengono a bussare alla porta, e chiedono asilo per la notte.
Quando la luce si fa più dolce, e sa di pane caldo, aperitivi all’ultimo sole, musica ad alto volume e aria buona da respirare.
Le pareti di casa collassano, e l’orizzonte si fa così vicino che pare quasi di toccarlo.
Così, all’improvviso, non basta più misurare ogni stanza con lunghi passi.
Non riesci a prendere fiato nemmeno affacciato alla finestra: una mano invisibile ti tappa la bocca come una mascherina chirurgica e rende difficile ingollare aria.
Un’insofferenza cui non riesci a dare un nome si impossessa di ogni centimetro di pelle, ti verrebbe voglia di strappartela via di dosso.
E allora sfoghi la frustrazione con i mezzi che più ti sono familiari: ti versi un bicchiere di vino, mangi due etti di prosciutto direttamente dalla carta, appoggiato alla porta del frigo, cominci a fare flessioni e addominali finché non senti i muscoli esplodere, agguanti il telefono per scrivere l’ennesimo post ironico, oppure stracolmo di merda contro il nemico di turno.
Osservi tramonti inutilmente romantici e una immensa luna languida che pare beffarsi della tua solitudine.
Perché si è soli, anche se si condivide casa con altre persone.
Si è soli alla ricerca di uno spazio vitale, di una pausa mentale che ci salvi un passo prima della follia.
Si è soli alla prese con una routine asfissiante, che ci crolla addosso tutta insieme verso sera, quando all’improvviso diventiamo consapevoli di un altro gjorno rubato.
All’inizio il tempo con i nostri cari, se cari lo sono davvero, sembrava tempo restituito, sottratto alla frenesia di tutti i giorni.
Con l’andare dei giorni, nella ripetitività dei gesti trovi invece un furto efferato, di affetti, di spazio, di tempo, che vorresti spendere in mille modi diversi e che ti presenta il conto alla sera, quando “un altro giorno è andato, la sua musica è finita, quanto tempo è mai passato e passerà.”
E mentre osservi il vuoto fissando una parete bianca, partono i buoni propositi di quel “dopo” tutto da vivere, se ci sarà concesso.
Con quel che resta, con chi è rimasto accanto a costruire con mani secche di amuchina, e sporche di lievito e farina.

Leave a Reply